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Quanto inquina un bitcoin?

Una farm di criptovaluta nell’Est Europa

Dopo esserci occupati delle auto elettriche nell’articolo “I paradossi dell’auto elettrica“ affrontiamo oggi
un nuovo fenomeno che inciderà anch’esso con decisione sulle maggiori richieste di energia
che occorreranno alle nuove tecnologie nei prossimi anni.

È indubbiamente il fenomeno finanziario più dibattuto dell’ultimo decennio, che in breve tempo è riuscito a passare da una semplice idea che sembrava dover rimanere circoscritta nell’ambito dei “nerd” più incalliti a uno stravolgente successo a livello globale: la criptovaluta.

Oggi chiunque può acquistare bitcoin o altre criptovalute e crearsi un portafoglio da impiegare per acquisti presso esercizi commerciali fisici o online, i quali aumentano sempre più di giorno in giorno. Ciò che però non è ancora noto alla maggior parte degli utenti, è il grande dispendio energetico che viene impiegato per realizzare il funzionamento dell’infrastruttura necessaria a mantenere in sicurezza e in regolare funzionamento tutto il sistema di generazione e controllo delle criptovalute.

Secondo Jan Lansky, una criptovaluta è un sistema che soddisfa sei condizioni:

  • Il sistema non richiede un’autorità centrale, il suo stato è mantenuto attraverso un consenso distribuito.
  • Il sistema mantiene un controllo delle unità di criptovaluta e della loro proprietà.
  • Il sistema determina se possono essere create nuove unità di criptovaluta. Se tali unità si possono creare, il sistema definisce la loro origine e come determinare il loro possessore.
  • La proprietà di una criptovaluta può essere provata solo crittograficamente.
  • Il sistema consente di eseguire transazioni nelle quali avviene un cambio di proprietà delle unità crittografiche. La conferma della transazione può essere rilasciata solo da un ente che può provare la proprietà delle criptovalute oggetto della transazione.
  • Se vengono date simultaneamente due diverse istruzioni per il cambio di proprietà delle stesse unità crittografiche, il sistema esegue al massimo una delle due.
Valore di un bitcoin, dalla nascita a oggi. (Clicca per ingrandire)

Ciò che viene descritto come “sistema” nella definizione di Lansky, è una rete distribuita (peer-to-peer) i cui nodi risultano costituiti da computer di utenti, situati potenzialmente in tutto il globo. Su questi computer vengono eseguiti appositi programmi che svolgono funzioni di controllo, certificazione, cifratura e registro. Non c’è attualmente alcuna autorità centrale che le controlla. Le transazioni ed il rilascio avvengono collettivamente in rete, pertanto  la gestione è distribuita e non  centralizzata.

Il controllo viene effettuato da una struttura di “blockchain“, un registro digitale le cui voci sono raggruppate in “blocchi”, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia. Il suo contenuto una volta scritto tramite un processo normato, non è più né modificabile né eliminabile, a meno di non invalidare l’intero processo. La blockchain è considerata un’alternativa in termini di sicurezza, affidabilità, trasparenza e costi alle banche dati e ai registri gestiti in maniera centralizzata da autorità riconosciute e regolamentate (pubbliche amministrazioni, banche, assicurazioni, intermediari di pagamento, ecc.) e le sue applicazioni sono molteplici e vanno certamente oltre quelle della criptovaluta.

Non rientra nel nostro scopo descrivere i riflessi finanziari o le caratteristiche di mercato di una criptovaluta, ma è opportuno almeno citarne brevemente la storia e alcuni dettagli tecnici di funzionamento. Il primo blocco della catena di creazione del bitcoin (la prima criptovaluta) fu inizializzato nel 2009 da uno sviluppatore sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, il quale aveva rilasciato il codice sorgente del software come Open-Source a seguito della pubblicaizone di un suo saggio dal titolo “bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System” pubblicato nell’ottobre del 2008.

Il valore del bitcoin sul mercato finanziario è passato dall’inziale 1 BTC = 0 USD all’attuale 1 BTC = 48.000 USD (al momento della scrittura di questo articolo). Al bitcoin si sono poi aggiunte altre criptovalute, fino a raggiungere il numero di circa 7.812 nel gennaio 2021 con una capitalizzazione di mercato totale di 324.716 miliardi di dollari.

Schema di una blockchain (Clicca per ingrandire)

Ciascuna di esse impiega lo stesso meccanismo della blockchain. Dal punto di vista tecnico, la blockchain è un libro mastro pubblico, dove vengono registrate le transazioni di un bene digitale, che ha il suo principio più efficace nella moneta bitcoin. Il bitcoin, non si trova da nessuna parte in forma fisica, ma esiste solo come transazione registrata su questo libro mastro digitale. Nel caso della criptovaluta, ogni blocco della blockchain contiene un certo numero di transazioni ed è connesso a un altro attraverso una rete punto a punto (peer-to-peer) che, a sua volta, si collega a un protocollo di convalida per ogni nuovo blocco che si va aggiungere alla catena. Ogni nodo (ovvero un computer connesso alla rete) riceve una copia della blockchain, scaricata in modalità automatica. (vedi: “Blockchain: che cos’è, come funziona e a cosa serve“).

Quello che rende la tecnologia blockchain un sistema sicuro è il fatto che i dati presenti in un blocco non possono essere alterati retroattivamente senza che, a cascata, non vengano modificati anche tutti i blocchi successivi il che, per avvenire, necessiterebbe del consenso della maggioranza della rete. Tutto il processo viene cifrato con chiavi private.

Consumo di energia della rete Bitcoin (Clicca per ingrandire)

Ciò che forse sfugge ai più è lo stretto legame che esiste tra la criptovaluta e il consumo di energia elettrica. Per meglio capire questa relazione, occorre però fornire alcuni dettagli sul “mining” (estrazione) dei bitcoin. Il mining di bitcoin è il processo mediante il quale vengono immessi in circolazione nuovi bitcoin; è anche il modo in cui le nuove transazioni vengono confermate dalla rete e una componente critica del mantenimento e dello sviluppo del registro blockchain. Il “mining” viene eseguito utilizzando hardware sofisticato che risolve un problema di matematica computazionale estremamente complesso. Ogni volta che il sistema completa un’operazione o una parte di essa, la rete crea una certa frazione di bitcoin nuovi che viene accreditata al miner, ovvero il possessore del computer dedicato al mining (una sorta di “rimborso spese con margine di guadagno”).

Subito dopo il lancio di Bitcoin, l’estrazione avveniva su computer desktop con normali unità di elaborazione centrale (CPU), ma il processo risultava estremamente lento a causa delle complessità computazionali richieste. Ora la criptovaluta viene generata utilizzando grandi pool di mining sparsi in molte aree geografiche; i “minatori” di bitcoin aggregano sistemi di mining che consumano enormi quantità di elettricità per estrarre la criptovaluta.

Il bitcoin mining -infatti – è stato progettato dai creatori delle criptovalute in modo da diventare sempre più complesso con il passare del tempo, affinché l’aumento della valuta disponibile nel mercato sia proporzionale al suo valore e alla difficoltà di reperibilità (in questo caso anche di produzione). Dai singoli computer iniziali, si è passati oggi a delle vere e proprie “farm” realizzate da intere batterie di server con rande capacità computazionale e quindi con forte richiesta di energia elettrica per il funzionamento e il raffreddamento.

Per la generazione di un singolo bitcoin sono necessari circa 2000 kWh (pari a circa 2 mesi di consumo di un’utenza domestica), con un’emissione di 978 kg di CO2 e circa 309 grammi di rifiuti elettronici (fonte: Digiconomist).

Per questo motivo il bitcoin mining si è visto sempre più relegato a paesi il cui clima, le caratteristiche geopolitiche e il costo dell’elettricità agevolano l’estrazione di criptovalute, ad esempio le zone rurali della Cina, gli Stati Uniti o l’Islanda. In quest’ultimo paese l’energia elettrica costa pochissimo e il clima molto freddo consente ai miner di risparmiare sul raffreddamento dei grossi impianti di mining, che lavorando a pieno ritmo 24 ore su 24 tendono a surriscaldarsi facilmente.

Nei Paesi in cui l’elettricità viene generata utilizzando combustibili fossili, l’estrazione di bitcoin è considerata dannosa per l’ambiente. Di conseguenza, molti minatori di bitcoin hanno spostato le operazioni in luoghi con fonti di energia rinnovabili per ridurre l’impatto di bitcoin sui cambiamenti climatici.

È difficile misurare esattamente quanta energia consuma il mining di bitcoin, ma una nuova analisi del New York Times ha condiviso alcuni dati sbalorditivi:

  • L’estrazione di bitcoin consuma circa 91 terawattora di elettricità all’anno.
  • Si tratta di un consumo annuo di elettricità superiore a quello di tutta la Finlandia, che è un paese di 5,5 milioni di persone.
  • Si tratta di quasi lo 0,5% di tutto il consumo di elettricità in tutto il mondo, e un salto di 10 volte rispetto a soli cinque anni fa.
  • È circa la stessa quantità di elettricità consumata ogni anno nello stato di Washington e più di un terzo dell’elettricità utilizzata per il raffreddamento residenziale negli Stati Uniti ogni anno.

Per la generazione di un singolo bitcoin sono necessari circa 2000 kWh (pari a circa 4 mesi di consumo di un’utenza media domestica), con un’emissione di 978 kg di CO2 e circa 309 grammi di rifiuti elettronici (fonte: Digiconomist). Da dove derivano i rifiuti elettronici? La continua ricerca di aumento dell’efficienza energetica (costi) dei server di mining determina che quelli più vecchi diventino inevitabilmente obsoleti su base regolare. I dispositivi di mining meno efficienti saranno in breve tempo estromessi dal mercato, poiché semplicemente non possono competere con le macchine più nuove (più efficienti in termini di costi). Per i server dedicati al mining non esiste un impiego al di là del singolo compito per cui sono stati creati, il che si traduce immediatamente nella generazione di rifiuti elettronici.

Consumo energetico bitcoin vs Stati. (Clicca per ingrandire)

Con l’aumento della concorrenza, il mining di bitcoin è diventato un’industria a sé stante (seppur sempre distribuita e senza un unico controllo centrale come quello delle banche standard), che richiede macchine specializzate, server e enormi data center con una capacità di raffreddamento sufficiente per evitare il surriscaldamento dei computer.

Ma quanta energia “dovrebbe” consumare un sistema monetario? La risposta a questa domanda dipende dalla fiducia che persone o organizzazioni riservano per la criptovaluta. Decine di milioni di individui in tutto il mondo che lo usano come strumento per sfuggire alla repressione monetaria, all’inflazione o ai controlli sui capitali, molto probabilmente ritengono che l’energia sia stata spesa molto bene.

Tuttavia il consumo di energia non è necessariamente equivalente alle emissioni di carbonio. Innanzitutto, occorre effettuare un’importante distinzione tra quanta energia consuma un sistema e quanto carbonio emette. Sebbene la determinazione del consumo di energia sia relativamente semplice, non è possibile estrapolare le emissioni di carbonio associate senza conoscere il preciso mix energetico, ovvero la composizione delle diverse fonti di energia utilizzate dai computer che estraggono Bitcoin. Ad esempio, un’unità di energia idroelettrica avrà un impatto ambientale molto inferiore rispetto alla stessa unità di energia a carbone. La preoccupazione però sale quando si leggono le statistiche relative alla concentrazione di “miner” bitcoin nel mondo: Cina e USA (combustibili fossili).

Il CEO di Tesla – Elon Musk – ha scosso il mercato delle criptovalute all’inizio di quest’anno quando ha affermato che la sua azienda non avrebbe più accettato Bitcoin per gli acquisti di veicoli. Il suo tweet del 13 maggio ha citato un aumento nell’uso di carbone e altri combustibili fossili per generare l’energia utilizzata per l’estrazione mineraria come motivo della sua decisione. Il valore di Bitcoin è sceso dopo quel tweet e ha continuato a diminuire per settimane.

Cosa si sta facendo per questo problema energetico?

Non molto. Il 3rd Global Cryptoasset Benchmarking Study dell’Università di Cambridge ha rilevato che il 70% dei miners basava la propria decisione su quale moneta estrarre dall’importo della ricompensa giornaliera. Il consumo di energia ha costituito solo il 30% della loro scelta. L’accesso all’energia rinnovabile a basso prezzo, tuttavia, attrae molto i miners di criptovalute. La provincia cinese del Sichuan ha il secondo maggior numero di miners del paese grazie alla sua abbondanza di energia idroelettrica a basso costo. La sua stagione delle piogge aiuta a generare così tanta energia che le città sono alla ricerca di aziende blockchain da trasferire per evitare sprechi di energia.

Impronta energetica e ambientale del bitcoin (Clicca per ingrandire)

Tuttavia, esistono già alcuni network blockchain che utilizzano un protocollo di verifica differente dalla “proof-of-work” di bitcoin. Si tratta del “proof-of-stake“, un protocollo che richiede molta meno potenza di calcolo per verificare le transazioni e processarle (per i dettagli tecnici, vedi qui). Tra le principali criptovalute che utilizzano questo protocollo, spiccano Ethereum, Neo e Dash. Questo potrebbe essere un potenziale futuro per la sostenibilità ambientale delle criptovalute.

Per anni le banche centrali hanno tentato di ostacolare lo sviluppo delle criptovalute, tuttavia il New York Times ha recentemente riportato che “la tecnologia dei pagamenti digitali sta costringendo il sistema finanziario ad evolversi. Le banche sentono il loro potere diminuire e vogliono riprendere il controllo”. La criptovaluta è destinata ad avere senza dubbio un ruolo fondamentale nell’economia di un futuro molto prossimo e le maggiori banche mondiali stanno già lavorando ad alcuni documenti di regolazione e normativa, seppure con grande difficoltà in quanto il senso principale della valuta digitale risiede proprio nella sua indipendenza dai sistemi di controllo monetario delle banche.

Anche in questo caso però – come per le auto elettriche (vedi articolo citato) – l’innovazione tecnologica che sembra doverci transitare verso un futuro di maggiore libertà ed efficienza poggia le sue basi fondanti su un uso molto intensivo di energia elettrica, dando per scontato che questa sarà sempre disponibile e rinnovabile. Tuttavia, senza aver prima realizzato con solidità e compatibilità ambientale queste “basi fondanti”, ogni nuova tecnologia che voglia poggiarsi e crescere su di esse rischierà sempre di diventare un gigante con i piedi di argilla.

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