In principio…
Quando leggiamo la parola cosmo, siamo immediatamente portati a immaginare il mondo fisico più espansivo che la mente possa costruire. Profondi campi di galassie scintillanti e piene di stelle che si estendono in ogni direzione, e forse verso l’eternità. Tuttavia anche quell’immagine rappresenta solo la minima parte di ciò che si intende per “cosmo”. Per costruire un cosmo, occorre estendere l’immaginazione a tutto lo spazio e tutto il tempo. Solo una delle creature della Terra può realizzare questa acrobazia cognitiva. Tutti gli esseri viventi sono in armonia con il proprio ambiente: i batteri possono percepire cambiamenti chimici nelle loro immediate vicinanze; gli uccelli migratori conoscono il nostro pianeta abbastanza bene da poter volare ogni anno su tutta la sua faccia; gli scarabei navigano alla luce della Via Lattea. Ma solo l’essere umano vive all’interno di un cosmo.
Alla fine dell’ultima era glaciale, gli umani avevano viaggiato in tutti i continenti sulla Terra tranne l’Antartide. Durante queste migrazioni preistoriche, abbiamo iniziato a prestare molta attenzione al regno celeste. Ne esistono alcuni accenni nell’arte rupestre del Paleolitico, dove troviamo le prime incisioni della Luna e delle sue fasi, che vanno dalla falce alla luna piena e viceversa. Ma questi indizi sono pochi, molto lontani tra loro e non sono sufficienti per disegnare il cosmo più ampio in cui abitava la mente preistorica. Il primo cosmo che possiamo descrivere con fiducia ci arriva dall’età del bronzo, i cui sistemi di credenze furono scoperti e conservati in una ambra culturale di nuova invenzione chiamata scrittura.
Gli antichi permeavano il cosmo di coscienza e spirito. Il sole divenne una persona, così come l’oceano
L’antico cosmo non era certamente una struttura matematica complessa. Si trattava di un mondo sensoriale, ricucito sulle esperienze quotidiane delle persone che non avevano mai visto le curve dell’orbita della Terra o il cielo notturno ingrandito da un telescopio. L’antico cosmo ebbe un inizio, una nascita da uno stato senza forma, di solito un regno liquido infinito o un vuoto caotico che si sarebbe improvvisamente separato in opposti, come luce e oscurità, o fuoco e ghiaccio, o terra e cielo. Questo concetto di separazione è ancora con noi oggi nelle storie della creazione scientifica, che spesso invocano una scissione primordiale di simmetrie. Ma le versioni antiche erano molto più vivide: nel sacro testo sanscrito Rig Veda, l’universo inizia come una sfera simmetrica di puro potenziale, un uovo circondato da un infinito mare amniotico, che si divide in due ciotole di terra e cielo, con il sole simile a tuorlo che si libra da qualche parte nel mezzo.
La terra che emerse da questa separazione primordiale era di solito un disco piatto, rotondo, rugoso di montagne, tagliato con fiumi e circondato dall’oceano da ogni lato. Sopra questo disco c’era la cupola chiusa del cielo, e sotto un regno sotterraneo di dimensioni equivalenti, e insieme formavano una sfera. Ogni notte, il sole avrebbe viaggiato attraverso gli inferi invisibili dopo aver vacillato oltre il limite dell’orizzonte. Naturalmente, ogni civiltà aveva sviluppato una propria cosmogonia e ognuna aveva la sua particolarità, eppure tutte mantenevano un elemento comune: brulicavano di divinità.
Quando i popoli antichi cercarono di spiegare gli aspetti più misteriosi del loro ambiente, proiettarono la loro propria natura nel cosmo. Hanno permeato il cosmo di coscienza e spirito: il sole divenne una persona, così come l’oceano e altri elementi. Gli antichi dei avevano fragilità umane e agivano impulsivamente. Erano gelosi, i loro sbalzi d’umore determinavano eventi nel mondo: terremoti, siccità, tempeste, inondazioni e arcobaleni. I loro conflitti alla fine avrebbero portato alla fine del mondo, in una battaglia infuocata tra gli umani concetti di bene e male.
In alcuni casi, un universo “fenice” poteva risorgere dalle ceneri, in una serie che non aveva inizio o fine, un infinito multiverso nel tempo. Questo ciclo cosmico di distruzione e rinascita avrebbe potuto estendersi a miliardi o addirittura trilioni di anni. Tra i fisici di oggi, ci sono alcuni che credono ancora che il cosmo circoli dentro e fuori dall’essere in questo modo.
Il fisico e cosmologo statunitense Alan Guth fu il primo a sviluppare, nel 1979, l’idea dell’inflazione cosmica, una teoria che ipotizza che l’universo, poco dopo il Big Bang, abbia attraversato una fase di espansione estremamente rapida, dovuta a una grande pressione negativa. Guth ha però spiegato che esistono problemi con la teoria del Big Bang. L’Universo è misteriosamente uniforme in tutte le direzioni: posizionando due telescopi sui poli nord e sud, si può catturare la luce dalle estremità opposte dell’Universo. Misurando la temperatura della luce proveniente da queste regioni, fino a otto cifre, si otterrà sempre lo stesso numero. Ciò è misterioso perché le due regioni sono separate da oltre 20 miliardi di anni luce, troppo lontani per aver mai interagito in un modo che avrebbe portato a un equilibrio così straordinario. Esistono delle teorie che giustificano la generazione di un universo uniforme come il nostro all’interno della teoria del Big Bang standard, ma è necessario ammettere particolari condizioni iniziali, del tutto teoriche anch’esse: perché proprio “quelle” condizioni iniziali, “quella” calibrazione e non altre?
Alcuni scienziati propongono la soluzione di questo dilemma con la teoria dei multiversi, un mare infinito di regioni cosmiche, ognuna con le sue peculiarità fisiche. In questo pullulare di Universi, uno con le condizioni iniziali come il nostro ha consentito l’evolversi della vita sulla Terra e ha quindi generato “osservatori” che ne hanno delineato le caratteristiche. Il vero problema con la teoria del multiverso è che non può essere verificata in alcun modo, almeno non ancora. Non è possibile installare un telescopio nelle regioni al di fuori della nostra, occorre cercare prove del multiverso dall’interno del nostro Universo. E cosa dovremmo cercare? È difficile da dire, perché il multiverso esplora ogni combinazione di condizioni cosmiche un numero infinito di volte. Non è chiaro se una qualsiasi combinazione sia più probabile di ogni altra: i teorici stanno cercando di determinare se alcune condizioni sono più attuabili di altre, ma non ci sono ancora riusciti e non vi è alcuna garanzia che lo faranno.
Ma l’astrofisico Ethan Siegel si spinge oltre, attraverso considerazioni puntuali legate essenzialmente alla natura del Big Bang. Cosa ha rappresentato il momento del “Bang”? Qual è stata la causa?
…il Big Bang non è un “inizio”, ma una singola fase di un ciclo (eterno?) che si ripete.
Secondo Siegel, la causa è da ricercarsi nella fine di un periodo di inflazione precedente al Big Bang il quale, attraverso un fenomeno che l’astrofisico definisce “riscaldamento cosmico”, tutta l’energia presente viene trasformata in particelle, antiparticelle e radiazioni, dando luogo alla transizione che genera il “Bang” del Big Bang. Siegel giustifica questa sua posizione con dettagli matematico/scientifici che possono essere letti nei suoi articoli più recenti.
Quindi, un ciclico ripetersi di Big-Bang → inflazione → riscaldamento cosmico → Big-Bang, l’ultimo dei quali è avvenuto circa 13.8 miliardi di anni fa e che, secondo Siegel, non rappresenta l’inizio dell’Universo, quanto piuttosto la fine di un precedente stato di inflazione cosmica.
Ma come si conclude l’inflazione; in che modo l’energia inerente allo spazio viene convertita in particelle, antiparticelle e radiazioni; come fa l’Universo a diventare caldo e denso tale da generare un Big Bang? Il nome che Siegel dà a questo processo è “riscaldamento cosmico“, che descrive come avviene questa transizione. L’energia, ricorda, può sempre essere convertita da una forma all’altra senza essere creata o distrutta. Ciò che attiene al riscaldamento cosmico è prendere l’energia inerente allo spazio stesso – indipendentemente dalla forma o dal campo a cui l’energia è inerente – e accoppiarla ad almeno una delle particelle nel Modello Standard.
Non siamo qui interessati ai dettagli scientifici con i quali Siegel giustifica questa teoria, né è nostro compito giudicarne la correttezza o meno: è interessante però rilevare il significato del nuovo concetto introdotto: il Big Bang non è un “inizio”, ma una singola fase di un ciclo (eterno?) che si ripete. Per certi versi, spiazzante. La certezza di apporre la bandierina dell’inizio sulla mappa universale di 13.8 miliardi di anni fa, svanisce improvvisamente.
Nel suo magistrale volume Conceptions of Cosmos (Oxford University Press – 2006), lo storico danese Helge Kragh definisce la cosmologia “la più filosofica delle scienze“. Per creare un cosmo, una storia che racchiuda le origini e il destino ultimo di tutto ciò che è, occorre lasciarsi alle spalle la scienza consolidata, dobbiamo affrontare l’apparente vuoto dell’ignoto. Tuttavia., il senso cosmico che deriva dalla presa di conoscenza di riconoscersi una minuscola parte del Tutto, potrà consentire il risvegliarsi di quell’affinità che lega l’uomo in armonia con i vasti spazi dell’universo stesso.
“L’immensità del cosmo non ci opprime se infine intravediamo che la materia, con le sue meravigliose forze, prende coscienza di sé soltanto con noi” – P. Teilhard de Chardin