AI: il Grande Fratello o un fratello grande?
Lo sviluppo delle tecniche di Intelligenza Artificiale ha ormai da tempo superato la propria fase di studio e sperimentazione, raggiungendo un impatto di larga scala così fondamentale nella vita quotidiana che possiamo ormai definire questo periodo storico come l’inizio dell’Età dell’Intelligenza Artificiale. Le conseguenze saranno certamente molto più profonde di qualunque altro periodo di trasformazione nella nostra storia, avendo l’AI il potenziale di trasformare radicalmente ogni industria, ogni società e ogni attività umana.
Abbiamo scritto a lungo, attraverso numerosi articoli, circa le insidie nascoste che possono derivare dall’uso improprio di questa tecnologia, e siamo lieti che finalmente l’Università di Stanford – uno dei più prestigiosi centri di ricerca internazionale – stia inviando un seppur timido segnale di attenzione al mondo intero con l’istituzione dello “Stanford Institute for Human-Centered Artificial Intelligence“.
Piuttosto che un’opportunità asservita agli interessi puramente commerciali dei padroni della tecnologia, occorre rendere l’AI uno strumento di accrescimento delle necessità collettive dell’umanità. Per raggiungere questo scopo, però, la tecnologia deve incorporare la consapevolezza di cosa rappresenti realmente il “senso della vita” per l’uomo: fisicamente, intellettualmente ed emotivamente. Come poter integrare, accrescendo, la consapevolezza propria dell’essere umano e le sue grandi capacità di comprensione? I team di sviluppo dell’AI devono essere quanto più largamente rappresentativi dell’umanità, con una completa diversità di pensiero attraverso i generi, le etnie, le nazionalità, le culture e – soprattutto – attraverso le singole discipline.
Una tecnologia di AI propriamente implementata, potrebbe portare al miglioramento della qualità della vita di ogni individuo del pianeta, sostenendo l’individuazione di soluzioni negli ambiti più ampi: povertà, malattie, cambiamenti climatici, età. Purtroppo non esiste alcuna garanzia che l’umanità possa essere salvata o protetta da coloro che potrebbero implementare l’AI con altri scopi che possiamo chiamare ‘faustiani’ (vedi articoli citati), rendendo così vani tutti gli eventuali aspetti positivi. È il rischio di ogni passo nel faticoso cammino di civiltà dell’uomo: ogni scoperta o invenzione ha sempre portato con sé un “lato oscuro”, derivante proprio dalla specifica natura umana che racchiude in sé molteplici aspetti e pulsioni contrastanti. Freud le ha chiamate Eros e Thanatos.
Eppure il progresso tecnologico vertiginosamente accelerato ci ha portato, senza che quasi ce ne accorgessimo, a qualcosa di diverso e a un rischio molto più alto.
L’Intelligenza Artificiale – infatti – non rappresenta un mero strumento o dispositivo tecnologico che può essere spento a piacere o di cui si può trascurare l’acquisto nel grande centro commerciale. L’AI permea la società in ogni sua manifestazione e si estende come l’acqua travolgendo ogni ostacolo. Siamo vittime inconsapevoli di algoritmi di AI in ogni momento della nostra attività quotidiana: durante una telefonata, al supermercato, in banca, in rete. È per questo motivo che la ricerca e lo sviluppo dell’AI non può essere affidata soltanto a tecnici specializzati i quali, seppur eccellenze nei loro settori tecnologici, non potranno mai avere una visione completa delle ripercussioni o delle insidie nascoste derivanti dall’immissione nella società di questo potente strumento.
L’iniziativa dell’Università di Stanford sembra presentare i migliori presupposti per iniziare a pensare al problema con modalità più complete, transdisciplinari. «Ci stiamo tutti avventurando in un nuovo mondo che stiamo costruendo man mano che procediamo.» hanno dichiarato Fei-Fei Li e John Etchemendy, co-direttori del nuovo Istituto «Come creatori di questa nuova tecnologia, è nostra responsabilità collettiva guidare l’AI in modo che abbia un impatto positivo sul nostro pianeta, le nostre nazioni, le nostre comunità, le nostre famiglie e le nostre vite.» L’obiettivo di Stanford è quello di diventare un centro interdisciplinare e globale per intellettuali, studenti, ricercatori, sviluppatori, costruttori e utenti del mondo accademico, governativo e industriale, nonché per i leader e i responsabili delle politiche che vogliono comprendere e sfruttare l’impatto e il potenziale dell’AI.
L’iniziativa è sicuramente di grande pregio e si distingue per serietà e professionalità nelle proprie dichiarazioni d’intenti. Occorre però sempre considerare che queste iniziative negli Stati Uniti hanno comunque la necessità di ingenti finanziamenti e – anche in questo caso – sono i cosiddetti “padroni di Internet” che partecipano all’Advisory Council dell’Istituto a offrire “consulenze” economiche e tecnologiche.
E l’Europa? Rischia – come spesso accade – di stare a guardare. Uno dei patrimoni intellettuali e culturali più grandi del mondo è racchiuso in questo Continente eppure sembra che il problema dei rischi dell’Intelligenza Artificiale venga affrontato solo con blande iniziative di Commissioni che studiano – in torri più o meno d’avorio – nebulosi problemi di etica teorica senza riuscire a definire nella realtà le azioni da intraprendere e – soprattutto – senza nemmeno avere l’autorevolezza necessaria per influenzare in qualche modo l’industria.
La tradizione culturale e scientifica europea potrebbe beneficiare di grandi progressi con l’utilizzo di tecnologie di AI, basti pensare, ad esempio, alle possibili nuove concezioni di esperienze museali o architettoniche. Trasformare i siti culturali-storici-artistici da semplici obiettivi in cui scattare un “selfie” di testimonianza incolonnati in lunghissime code, a veri e propri poli di ricerca e studio attraverso virtualizzazioni storiche e collegamenti artistici che siano in grado di estendere l’esperienza fisica in un continuum intellettuale spazio-temporale. Oppure puntare sull’ampliamento della ricerca scientifico-culturale attraverso sistemi di interconnessione e analisi ancor più “intelligenti” che possano aprire nuovi campi di ricerca e che consentano alle capacità intuitive dell’uomo di comprendere più profondamente le leggi di quell’universo di cui si sente microcosmo.
L’auspicio, quindi, è quello di un’intelligenza artificiale che sia di supporto a quella umana, che rappresenti un nuovo “utensile” di ausilio alle complesse capacità proprie della mente umana, senza sostituirsi ad essa.
Così come la tecnologia modella la società, occorre invertire la tendenza affinché sia la società a modellare la tecnologia. In questa fase della storia, l’uomo ha una responsabilità e un’opportunità strategica per guidare questa tecnologia verso un futuro migliore per l’umanità: ma dobbiamo essere consci che un errore di valutazione, una distrazione potrebbe invece avviare questa grande avventura verso una tragica involuzione.
Purtroppo il XX secolo ci ha dato terribili esempi di come proprio le nuove possibilità offerte dalla tecnica e le nuove scoperte scientifiche abbiano portato nazioni che pur avevano raggiunto un alto grado di civiltà a essere dominate da una cieca hybris nel cercare rapide soluzioni, deviando da ogni etica pur proclamata con convinzione. Perché, come scrisse C. G. Jung, “Se nella società umana e specialmente all’interno dello Stato la vita del singolo è regolarizzata come un canale, la vita delle nazioni è come la corrente di un fiume impetuoso che nessuno domina […] Così la vita delle nazioni scorre senza freno, senza guida, inconscia, come un macigno che precipita giù per un pendio, fermandosi soltanto davanti a un ostacolo più poderoso. Perciò gli avvenimenti politici passano da un vicolo cieco ad un altro, come torrenti che si insinuano per burroni, meandri e paludi” (Wotan, Zurigo 1936).
Il problema della gestione della AI è un problema che interessa la vita dell’umanità e del pianeta che abitiamo e che le nazioni devono affrontare con profonda saggezza e lungimiranza affinché tutti gli straordinari strumenti creati dall’uomo non si trasformino inaspettatamente in un tragico boomerang contro l’umanità stessa.