Il Big-Bang: una singolarità trascendente?
Parlare di frazioni di centesimi di secondo nei giorni nostri è ormai pratica corrente; è sufficiente assistere a una gara sportiva di atletica leggera, sci, automobilismo per rendersi conto come tempi così brevi siano comunemente alla portata di tutti (un centesimo di secondo si indica con 10-2s). Eppure è piuttosto difficile immaginare un tempo di 10-35 secondi: trentacinque zeri davanti all’unità, un tempo che nel nostro mondo macroscopico non siamo in grado di rilevare se non con sofisticatissime procedure di laboratorio sulla materia subatomica. Tuttavia, è proprio su questo infinitesimo intervallo di tempo che da anni la fisica cosmologica sta dibattendo con teorie e calcoli matematici: cosa è accaduto nei primi 10-35 secondi dell’Universo, immediatamente dopo il Big-Bang? Che vi sia stata un’effettiva inflazione cosmologica tredici miliardi di anni fa pare non ci siano ulteriori dubbi, né come si sia successivamente evoluta la materia nel primo secondo (un secondo è un tempo lunghissimo per un evento del genere). Eppure quel minuscolo intervallo da zero a 10-35 secondi rimane ancora un mistero da definire.
Sappiamo che, per cause ancora di natura contrastante, la materia ha avuto la meglio sull’antimateria e grazie a un’esigua frazione della prima sulla seconda, è nato l’Universo che conosciamo. Tuttavia, le leggi della fisica non erano ancora scritte, in quel microscopico intervallo, e la freccia del tempo stava per iniziare il suo viaggio infinito. Quindi, la sfida più sconcertante per i fisici è sempre stata quella di definire quali leggi fondamentali governarono il fenomeno del Big Bang in quei primi trilionesimi di trilionesimi di secondo, oltre i quali una mostruosa espansione dello Spazio-Tempo ha ingigantito tutto ciò che esisteva, lasciandone inconfutabili tracce nel cosmo (onde gravitazionali, rumore di fondo, nuvole di gas primordiale, ecc).
Per descrivere l’Universo su scala subatomica e livelli di energia molto elevati, occorre impiegare un sottoinsieme della meccanica quantistica, denominato Teoria del Campo Quantistico (QFT), nel quale rientra il Modello Standard che descrive le particelle e le forze fondamentali dell’Universo (esclusa la gravità). Essendo l’inizio del Big Bang un momento in cui tutto era molto piccolo e molto caldo (alte energie) si è pensato che la QFT potesse giungere allo scopo.
D’altro canto, la Relatività Generale (RG) è la migliore descrizione di come funziona la gravità e le masse a livello cosmologico. Ma non è una QFT, in quanto si tratta di una teoria di campo classica e ogni tentativo di quantizzare la RG è miseramente fallito per ragioni tecniche matematiche. Inoltre, la QFT lavora in un quadro fisso di spazio e tempo, mentre l’essenza stessa della RG è che lo spazio e il tempo siano deformati da oggetti massivi i quali – a loro volta – si muovono a seconda di come spazio e tempo sono configurati. Per queste ragioni, le due teorie sono incompatibili.
Riavvolgendo il nastro del tempo fino a oltre tredici miliardi di anni fa, si giungerebbe – pertanto – a un piccolissimo Universo di elevata densità, molto caldo, in cui gli effetti gravitazionali non possono essere compresi a causa dell’inadeguatezza dell’attuale teoria. Supponendo di mantenere valida la RG fino al momento del Big Bang, si giungerebbe al punto di inizio rappresentato da una vera singolarità fisica: un punto di densità infinita a temperatura infinita. Tale singolarità quindi implica che stiamo probabilmente cercando di estrapolare una teoria conosciuta in un regime fisico in cui non si applica.
Qui si ferma la nostra conoscenza e non ci è consentito andare oltre.
La Meccanica Quantistica ci dice che ogni particella è nata insieme alle altre e tutta la materia del cosmo può cambiare il proprio stato, ma i “mattoni di base” sono sempre gli stessi. Gli stessi protoni che costituiscono il corpo umano continueranno a sopravvivere alla sua morte finché – forse – un’altra singolarità cosmologica interverrà nel corso degli eventi.
Quindi, se tutto appare così “immortale” e infinito nella direzione del tempo, quanto è credibile un punto di inizio, un tratto di penna su un foglio bianco da cui tutto è iniziato, da cui il tempo è cominciato a scorrere? Riusciamo ad ammettere forse che prima del Big Bang non ci fosse stato né tempo né spazio, e che il Tutto viveva in un ipotetico “nulla”?
Pochi anni fa, nel suo libro “Cycle of Time“, Roger Penrose – uno dei fisici matematici più noti e controversi – ha giustificato un modello “ciclico” di universo, secondo cui il nostro non sarebbe che il più recente di una serie di universi che ciclicamente si susseguono. Secondo questa teoria, denominata Cosmologia Ciclica Conforme, prima del Big Bang da cui è nato il nostro universo ce n’è stato almeno un altro, che ha dato vita a un universo precedente. E prima ancora, sostiene Penrose, potrebbero essere esistiti innumerevoli altri universi.
Ogni ciclo dell’universo – Penrose li chiama “eoni” – ha una durata di lunghezza inimmaginabile, molto più dei 13,7 miliardi di anni che si calcola siano l’età dell’universo corrente. All’inizio di ciascun eone c’è un Big Bang; poi, nel corso del tempo, l’universo appena nato si evolve, da un magma informe di particelle omogenee a un insieme di strutture sempre più complesse: galassie, stelle, pianeti, forme di vita.
Nel corso della sua esistenza, passati molti miliardi di anni, l’universo tornerebbe a essere un mare di particelle uniformi a causa delle radiazioni emesse dai buchi neri in “evaporazione” (secondo la teoria esposta da Stephen Hawking nel 1970). A questo punto, ipotizza Penrose, l’universo subisce un’ulteriore trasformazione, contraendosi in un punto di dimensioni infinitesimali, condizione per il verificarsi di un nuovo Big Bang. Il cosmo rinasce dalle proprie ceneri come l’araba fenice.
Un’altra interessante teoria è quella dei fisici Anthony Aguirre e Steven Gratton della prestigiosa Princeton University i quali sostengono un “inizio senza confini” in cui non si sia prodotta una singolarità cosmologica o un “inizio dei tempi”. Nel loro lavoro (per chi fosse interessato a un’approfondita trattazione matematica, può scaricarlo da qui https://arxiv.org/abs/gr-qc/0301042 ) Aguirre e Gratton propongono una freccia del tempo termodinamica che punta in direzioni diverse a seconda che l’universo si espanda o collassi. Per definizione, il tempo si muove verso la direzione in cui l’entropia aumenta; nello studio citato, si propone una torsione nell’universo tale che l’entropia decresca durante la fase di contrazione, e che quindi la freccia del tempo si muova indietro.
Per dare un’immagine di sintesi della teoria, si può ipotizzare di trovarsi nel momento del Big Bang (la torsione) e di osservare avanti verso il nostro universo: si vedrebbe il tempo scorrere via nella direzione a noi nota. Ma volgendo lo sguardo verso il passato, visto che la freccia del tempo è invertita, si vedrebbe ugualmente scorrere il tempo in avanti!
Ciò sembrerebbe essere in contrasto con un’idea ragionevole di tempo, eppure – come abbiamo visto in altri articoli di questo blog – qual è l’idea “ragionevole” del tempo?
Un universo ciclico, o un universo che derivi la sua esistenza da una storia precedente, elimina la necessità di una causa trascendente che l’abbia generato? Il fisico del CERN Michael Strauss ha risposto così a questa domanda: “Se per ‘trascendente’ si intende qualcosa di esterno all’universo stesso, allora certamente abbiamo la necessità di una causa trascendente, dato che lo spazio, il tempo, la materia e l’energia di questo universo devono aver necessariamente avuto un inizio“.
… una riflessione mi porta a definire il big bang (a prescindere dagli eventuali modelli proposti), indiscutibilmente un “evento fisico” (cosa potrebbe essere altrimenti ?).
Pertanto DEVE essere avvenuto in un ambito, contesto, di leggi fisiche atte a sovrintenderne il verificarsi.
Non sono così sciocco da usare il termine “pre-esistenti”.
Un contesto, un ambito (in cui è avvenuto l’evento in questione) di leggi fisiche … porta al grande dilemma :
se tale evento non fosse avvenuto, resterebbe l’ambito, il contesto, il REALE, esistente a prescindere dal nostro universo.
Sembrerebbe che … il REALE … sia … è.
Due domande sono SBAGLIATE :
– perché esiste il REALE ?
– che significato ha il REALE ?
… la domanda più pertinente, a mio avviso, sarebbe : come è che esiste il REALE ?
Si può assumere la sua esistenza come assioma ?
… vedendocela noi, esseri senzienti (ed eventuali altri esseri senzienti), con il tremendo loop retro-azionale che tale assunzione comporterebbe ?
… e che a me, personalmente, quando ci penso, fa mancare il fiato ?
saluti
domenico