Fisica, Filosofia, Poesia
Nessun dogma
Il rapporto dell’uomo nei confronti della scienza è sempre stato, nel tempo, un argomento di profondi dibattiti. Nei secoli precedenti Cartesio, Newton e la rivoluzione industriale, i nostri antenati erano in grado di cogliere la natura intuitiva, spirituale e spontanea dell’esistenza e lo scienziato era uno studioso che permeava le varie discipline all’interno di un unico crogiolo in cui fondeva insieme ogni parte del suo sapere. In seguito, Cartesio separò la coscienza dalla materia, il soggetto dall’oggetto, aprendo così la strada degli scienziati verso un processo di rigorosa evoluzione scientifica che portò rapidamente l’uomo a conoscere le componenti della natura che lo circondava e a sfruttare – per il proprio benessere – le invenzioni tecnologiche che dalla scienza erano generate.
Nei primi anni del 1900 sembrava fossero state raggiunte e superate quelle che classicamente erano ritenute le frontiere della conoscenza. Gli scienziati perciò hanno cominciato a volgere le loro ricerche verso il mondo microscopico, verso l’infinitamente piccolo, e contemporaneamente lanciavano lo sguardo in alto verso gli spazi infinitamente grandi del cosmo e dell’Universo. Questa apparente divergenza di interesse da parte dell’uomo, aveva origine nella medesima esigenza di ampliare lo sguardo oltre le frontiere del visibile, oltre il naturale campo d’azione, verso una nuova esplorazione. Gli scienziati hanno sentito, pur con qualche timore, che era giunto il momento di potersi confrontare con aspetti fino allora insondabili del mondo, anche se la ricerca li avrebbe poi portati a risultati scientifici fondati su intangibili leggi di probabilità. Così paradossalmente la nuova ‘rivoluzione copernicana’ prodotta dalla fisica quantistica metteva l’inconoscibile al centro di ogni speculazione.
Contemporaneamente alle ricerche nelle profondità più remote della materia nascevano e si sviluppavano anche rivoluzionarie teorie che coinvolgevano ogni campo della scienza, della filosofia e dell’arte. In particolare la nascita e lo sviluppo della psicoanalisi dirigevano il loro interesse verso le profondità, anch’esse insondabili, dell’animo umano e i suoi studi si riverberavano su altre scienze ‘umane’. Così proprio quelle ricerche nella fisica che avrebbero dovuto portare a spazzar via favole e miti, hanno portato a riscoprire l’Unus Mundus in cui ogni cosa è legata al Tutto e a valorizzare le capacità intuitive dell’uomo, la sua creatività e le straordinarie potenzialità forse ancora inesplorate.
Così la nuova fisica quantistica del nostro secolo, seppur basata su modelli matematici che sostengono adeguatamente i fatti sperimentali o le teorie, rappresenta la teoria scientifica che maggiormente offre la possibilità di connessioni, intuizioni e collegamenti con quegli aspetti della natura umana che fino al secolo scorso erano stati separati dalla scienza: dalla poesia alle arti figurative, dall’antropologia a tutte quelle attività del pensiero che mirano a una più profonda comprensione dell’Essere e dell’esistere.
L’equazione di Schrödinger ha fatto sorgere vaste discussioni sulla sua interpretazione ontologica o epistemologica. La funzione d’onda (PSI) è realtà oggettiva o soltanto conoscenza soggettiva? PSI rappresenta la realtà quale essa è, oppure la nostra limitata conoscenza del sistema? Scrive Heisenberg: “Nell’ambito della realtà le cui connessioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso” (W. Heisenberg, Indeterminazione e realtà, Napoli, Guida 1991, p.128).
Si apprendeva perciò che i vecchi concetti fisici classici si adattavano alla natura solo imprecisamente e decadeva quell’aspetto di disciplina “ferrea” che aveva guidato la scienza fino a quel momento. Si riporta una frase di Freeman Dyson, uno dei padri dell’elettrodinamica quantistica (QED): “Scienza e religione sono due finestre attraverso cui possiamo gettare lo sguardo, cercando di capire il grande universo esterno, cercando di capire il motivo per cui siamo qui. Le due finestre offrono diversi punti di vista, eppure proiettano fuori allo stesso universo. Entrambe le viste sono unilaterali e incomplete. Entrambe tralasciano alcune caratteristiche essenziali del mondo reale. Tuttavia entrambe sono degne di rispetto. Il problema si pone quando sia la scienza o la religione sostengono di avere giurisdizione universale, quando il dogma religioso o scientifico si arroga il diritto di essere infallibile” (F.Dyson, Progress in Religion, Templeton Prize Lecture. Edge 2000).
Filosofia e scienza
La matematica è un linguaggio con cui l’uomo riesce a descrivere – ad esempio – i fenomeni e gli stati fisici della materia e dell’energia. È un linguaggio, esatto, preciso, inoppugnabile. Eppure oggi questo linguaggio è usato per descrivere con “esattezza e precisione“, gli stati “indeterminati e probabilistici” delle particelle. Sembra un paradosso! Un altro paradosso, stavolta circolare, risiede nel fatto che il mondo macroscopico determina la realtà microscopica dalla quale a sua volta è formato! Ci scontriamo con questo paradosso ogni volta che eseguiamo misure quantistiche: per osservare le particelle, e quindi determinarne lo stato, usiamo tecniche e strumenti di “questa” realtà macroscopica, che a loro volta sono formati dalla stessa materia sotto indagine.
Recentemente il fisico Carlo Rovelli ha pubblicato un articolo sull’importanza della filosofia nella ricerca scientifica. È certamente apprezzabile che una figura pubblica e di successo come Rovelli, nell’ambito delle sue attività divulgative, abbia evidenziato questo aspetto, nonostante la sua posizione possa apparire, a una parte della comunità intellettuale, come un’affermazione ingenua e scontata. Sarebbe come asserire che “pensare” serve a qualcosa, anche agli scienziati! Considerando che la filosofia si è sempre interessata dell’uomo, di tutto ciò che ha a che fare con la comprensione di se stesso e dell’universo di cui è parte, il suo ruolo fondamentale nell’ambito della scienza dovrebbe risultare profondamente assimilato. Si tratta in fondo di una relazione biunivoca in quanto anche la filosofia del passato (e odierna) si è notevolmente interessata di scienza e da essa ha tratto le basi per importanti conclusioni.
Scrive Rovelli “Il nostro sapere è incompleto, ma è organico: cresce in continuazione e ogni parte ha influenza su ogni altra. Una scienza che chiude le orecchie alla filosofia appassisce per superficialità; una filosofia che non presta attenzione al sapere scientifico del suo tempo è ottusa e sterile. Tradisce la sua stessa radice profonda, quella della sua etimologia: l’amore per il sapere”. Il fisico riporta anche una significativa citazione di Aristotele: “Coloro che criticano l’utilità della filosofia per le scienze non stanno facendo scienza: stanno facendo filosofia“.
Connessioni remote
Molto spesso accade che una scoperta scientifica apra una connessione diretta con un antico passato, fin dentro alle più remote culture sapienziali, quasi come un entanglement di tempo universale. Ciò che oggi riusciamo a scoprire e descrivere attraverso complesse formule matematiche e verificare con l’ausilio di rigorose sperimentazioni, era forse stato “intuito” nel lontano passato? Ovviamente, gli uomini di quel tempo non avevano a disposizione strumenti o tecnologie come oggi, quindi quelle intuizioni erano dettate semplicemente da una sensazione di appartenenza e di vissuto con la natura circostante. Quasi un “presentimento”, senza necessità di logiche sperimentali.
A maggior chiarimento, riportiamo tre esempi di semplici esercizi di “collegamenti” metaforici che prendono spunto dalla fisica quantistica:
- È noto che non è possibile immaginare l’elettrone in un punto preciso, ma la sua posizione è distribuita ovunque nello spazio delle sue probabilità. Questo è un passo dell’īśā-Upaniṣad: “Costui si muove, Costui non si muove; Costui è lontano, Costui è vicino; Costui è all’interno di questo Tutto, Costui è anche all’esterno di questo Tutto“;
- La visione offerta dalla QFT richiede di abbandonare la distinzione tra particelle materiali e vuoto. Esse vanno considerate come condensazioni di un campo continuo che è presente in tutto lo spazio e non possono essere viste come entità isolate. Dal “Sutra del Cuore” (Prajñāpāramitā Hṛdaya): “La forma non è diversa dal vuoto, il vuoto non è diverso dalla forma, la forma è proprio tale vuoto, il vuoto è proprio tale forma“.
- La Teoria del Campo Quantistico (QFT) ci offre una visione della struttura della natura simile a un tessuto di fondo universale in costante movimento, in cui le interazioni dei campi danno luogo a nuove particelle. Un passo dell’Advaita Vedānta riporta: “Prajapati: il rumore di fondo dell’esistenza, il ronzio costante che precede ogni profilo sonoro, il silenzio dietro il quale si avverte l’operare di una mente che è la mente“.
Poesia
Se l’universo era – pochi istanti prima del Big Bang – concentrato in un punto di densità infinita, ci sono valide ragioni per ritenere che in quel periodo tutte le particelle componenti l’universo fossero tra loro in uno stato di entanglement, vista la notevole e strettissima interazione cui erano sottoposte. Se così fosse, un fantasma di questo antico legame potrebbe essere stato mantenuto anche ai giorni nostri, a livelli che ancora non conosciamo: una sorta di entanglement universale nella struttura più elementare delle particelle. Che cosa è rimasto dell’entanglement iniziale? Quali connessioni ancora inesplorate potranno rivelarsi inaspettatamente? In questo momento possiamo solo avere la certezza, come confermato dalla scienza e già teorizzato dalle antiche culture sapienziali, che l’uomo è microcosmo di un macrocosmo, docile fibra dell’universo (G.Ungaretti).
A questo proposito, ricordiamo l’ultima strofa della poesia del Premio Nobel per la Fisica Richard Feynman, da lui letta integralmente in occasione di un discorso alla National Academy of Science:
…
Di fronte al mare
stupito dallo stupore: io,
un universo di atomi
un atomo nell’universo.
Altro passo poetico che richiama le recenti teorie della fisica è il brano del poeta inglese Robert Bridges del 1929, tratto dall’opera “The Testament of Beauty”:
La nostra stabilità non è che un equilibrio,
e la saggezza sta
nell’abile amministrazione dell’imprevisto.
Oggi più che mai, in una società sempre più specializzata che fa dell’informazione superficiale e didascalica il suo centro nevralgico di comunicazione inter-personale, una cultura aperta oltre le strutture disciplinari del sapere risulta essere una strada verso un importante recupero delle caratteristiche fondamentali dell’uomo: l’immaginazione creativa e la capacità di integrazione su diversi piani della realtà. Occorre guardare verso un orizzonte dove le conoscenze si collegano, le intuizioni prendono forma, dove una formula matematica rappresenta anche un concetto filosofico, dove un comportamento fisico può essere espresso da una metafora poetica.