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Un Regno (non esattamente) Unito

 

C’era una volta un Regno Unito, costruito sugli onori delle popolazioni del Wessex, del Mercia, del Northumbria e dell’East Anglia che seppe fronteggiare le invasioni dei Vichinghi da est e dei Normanni da sud, per giungere a unificare il territorio sotto un ombrello di comuni intenti. Oggi però, il 48% di loro, pur conservando salde le proprie tradizioni, sanno ancora guardare avanti verso orizzonti di unione e sviluppi commerciali insieme al resto d’Europa. Il restante 52%, invece, guarda indietro e non riesce più a vedere nulla di fronte a sé se non un desiderio di isolamento e rottura del sogno europeo tracciato sulle sponde dell’isola di Ventotene nel 1944 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Ursula Hirschmann attraverso il “Manifesto per un Europa libera e unita“. Un’insanabile frattura nel Paese, nata con un referendum il 23 giugno scorso, con il quale poco più della metà della popolazione ha chiesto di interrompere il matrimonio con la grande famiglia Europea, riportando il Regno Unito indietro di 43 anni nella storia.

Isola di Ventotene - Porto Romano
Isola di Ventotene – Porto Romano

Come in tutti i matrimoni, nel caso di consensualità, i patti di uscita vengono concordati di comune accordo. Ma in questo caso non esiste nessun reciproco consenso giacché si tratta di interruzione unilaterale dei rapporti, per cui gli accordi di uscita dovranno necessariamente tenere conto di questa decisione nella stesura dei necessari trattati di separazione. E, come nei divorzi giudiziali, se si ravvedesse che la rottura provochi un danno alla parte restante, questa dovrà essere adeguatamente risarcita.

La presenza del Regno Unito all’interno dell’Unione Europea è comunque sempre stata molto “sui generis” in quanto già venivano riconosciute agli inglesi eccezioni e privilegi nei confronti degli altri Paesi, oltre a non partecipare agli accordi di Schengen e non aver aderito alla moneta unica europea. Nonostante questa condizione di alterità nei confronti degli altri Paesi membri, il Regno Unito non è comunque riuscito a sopportare l’idea che le politiche estere, commerciali e finanziarie potevano essere condivise per un intento comune ed è prevalsa la frangia nazionalista e autonoma del Paese.

Numerosi gruppi di intellettuali, studiosi ed economisti politici hanno enunciato a gran voce alla cittadinanza i vantaggi del Remain e i pericoli dell’Exit, tuttavia i loro sforzi sono stati vani. Osservando la mappa del voto, si nota che la scelta decisiva è giunta dalle zone più rurali della Gran Bretagna e dal Galles, laddove forse i cittadini avevano percepito meno i vantaggi dell’appartenenza all’Unione Europea, e dove le frange più autonomiste hanno trovato terreno fertile. Nelle aree di Londra, Scozia e Irlanda del Nord sono prevalsi i “Remain“.

Appare evidente l’errore e la responsabilità del premier Cameron in questo evento. Nel 2013, per ragioni di esclusiva politica interna, Cameron promise agli inglesi un referendum per decidere se restare o no nell’Unione Europea. Referendum che nelle sue intenzioni doveva servire da leva per ottenere condizioni di ulteriore privilegio per la Gran Bretagna all’interno dell’UE e con questo acquisire un maggior numero di voti dagli elettori inglesi. Tuttavia, la manovra politica si è oggi rivelata una pericolosa arma che è esplosa tra le mani di chi l’ha voluta inavvedutamente impiegare.

Per quanto precede, è doverosa una considerazione circa il potere dell’istituto del Referendum, forse l’espressione più democratica possibile a disposizione delle popolazioni occidentali. Qualunque cittadino è libero di esprimere la propria opinione e in base a quella potrebbero essere decise le sorti del Paese. Il voto non discrimina sesso, cultura o preparazione specifica sull’oggetto referendario: uno vale uno per chiunque. Però, come spesso è avvenuto anche in Italia, non tutti potrebbero disporre autonomamente degli strumenti necessari per la decisione, né essere consapevolmente e oggettivamente in grado di accedere e valutare il contenuto e le conseguenze di un testo sottoposto a consultazione popolare. Esempi nel passato sono stati molti: le centrali nucleari, la fecondazione assistita, le trivelle petrolifere, lo statuto dei lavoratori, ecc., argomenti per i quali occorreva disporre di un’elevata competenza per essere in grado di poter giudicare e scegliere con obiettività. In questi casi, perciò, si ascolta il leader politico, la fede religiosa, l’amico fidato, compiendo un’azione di “affidamento” della nostra personale scelta nelle mani di altri. La folla potrebbe lasciarsi così irretire da chi ha maggiori capacità mediatiche e comunicative, anche se i contenuti specifici sull’argomento rischiano di essere abilmente manipolati. Esistono purtroppo tragici esempi nella storia europea di leader politici estremamente esperti nell’irretire le folle e nel trascinare intere popolazioni alla rovina, per non citare il più famoso esperimento di referendum della storia antica, quello di Ponzio Pilato.

Entrando però nel vivo del contesto, occorre anche rilevare che l’attuale Unione Europea sta sempre più assumendo un profilo eccessivamente burocratico e pomposo, quasi gerarchico e aristocratico. Questa deriva formale – che si pone in contrasto con il soffio di ottimismo cosmopolita e di cooperazione nato insieme alla caduta del muro di Berlino – potrebbe pericolosamente mettere a disposizione dei movimenti autonomisti e nazionalisti un appiglio concreto su cui poggiare le loro prossime campagne, sulla scia del Brexit.

Come ha recentemente scritto Antonio Polito sul Corriere della Sera del 24 giugno scorso, “è iniziato un tempo più cupo, più pessimista, dominato dalla paura, dalla voglia di chiudersi nel protezionismo, nell’isolazionismo, nel nazionalismo“. Ci auguriamo che possa trattarsi solo di un refolo passeggero e che non assurga alla forza di una tempesta, ma che prevalgano invece le forze di progresso, così come erano intese nel Manifesto di Ventotene: “Quelle forze vanno estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività […] Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna“.

 

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