Quale creatività?
Da ogni angolo del mondo occidentale, da qualunque settore aziendale o attività professionale, da singoli o comunità, sale una continua richiesta di creatività. Questo termine viene usato ovunque, persino negli spot pubblicitari di prodotti commerciali per richiamare l’attenzione del consumatore: come per un assetato viandante disperso nel deserto di sabbia, il bisogno di creatività sembra rappresentare la sorgente di un’oasi salvifica.
La ricerca antropologica di Julien Ries ci ha mostrato che, già più di due milioni di anni fa, l’Homo Habilis si presenta come Symbolicus, dotato di sensibilità estetica, di senso di simmetria e di coscienza della creatività. Gilbert Durand ci conferma che l’attività specifica dell’uomo, la carta d’identità dell’Homo Sapiens, è l’attività simbolica, parte essenziale della sua creatività. L’uomo quindi nell’istante in cui attiva la sua prima funzionalità immaginativa è creativo.
Dunque possiamo domandarci, come si sia persa la creatività dell’uomo, di cui tanto si percepisce il bisogno o – quantomeno – dove si nasconde oggi? Ma – soprattutto – di quale creatività parliamo?
Secondo Giuseppe Lampis (cfr. L’arte della politica al tramonto della modernità) l’umanità si è addentrata in un’epoca di pericolo in quanto ha affidato la realizzazione della propria creatività al sistema della Tecnica; attraverso di essa, cioè attraverso strumenti ripetitivi e standard, ha avuto la presunzione di correre verso il futuro e il nuovo. Da questa contraddizione epocale sarebbe nata una situazione nichilista accompagnata da un profondo senso di depressione.
L’uomo è ormai fruitore di prodotti tecnologici, consumatore passivo che acquista al mercato sofisticati oggetti derivati dall’assemblaggio di ulteriori raffinate tecnologie; egli è padrone dello strumento al quale affida completamente se stesso. Eppure, se da un lato ciò lo gratifica nella quotidiana prometeica illusione di trovarsi ormai al centro dell’universo, dall’altro lo priva della sua fondamentale capacità espressiva – l’immaginazione creativa – spingendolo verso un senso di malessere ormai sempre più evidente.
L’immaginario, altissima espressione della creatività umana, è stato soffocato da un costante martellamento di immagini e filmati che raggiungono uno spettatore passivo attraverso tutti i possibili mezzi di comunicazione visivi. Immagini se pur tecnicamente perfette a maggior ragione angoscianti in quanto non stimolano il pensiero ma tentano di coprirne il vuoto.
Già nel 1994 Gilbert Durand in “L’imaginaire, essai sur les sciences et la philosophie de l’image” aveva messo in guardia sull’effetto perverso che l’invasione di immagini avrebbe scatenato nella cultura occidentale, tendenzialmente dominato dal pensiero logico più che da quello analogico. La nuova ‘civiltà dell’immagine’ ha anestetizzato la creatività individuale, passivizzato lo spettatore, divenuto bulimico consumatore di immagini, non più capace di discriminarle secondo giudizi di valore.
Nell’ultimo secolo le neuroscienze hanno constatato un declino della creatività intellettuale, inversamente proporzionale al progresso della tecnica.
Occorre però intendere la creatività non come un voler distruggere il mondo attuale per crearne uno nuovo. Tale azione non potrebbe che generare ansia in quanto colui che agisce per produrre il nuovo si verrebbe a trovare così di fronte a un mondo che viene meno, si eclissa e dunque non può offrire più modelli. L’eclissi del modello d’azione, senza più valori stabili e punti di riferimento, non può che divenire un deserto angosciante (G. Lampis: Noia, ansia e creatività).
Come in ogni depressione, alla profondità della caduta si accompagna la preparazione di una nuova fase e il viaggio a ritroso alla ricerca del punto da cui ci si è perduti.
Ci siamo perduti nel momento in cui nell’uomo ha cominciato a venir meno la consapevolezza di essere egli stesso un piccolo mondo nel più vasto mondo della natura, cioè sintesi e specchio degli elementi costitutivi del cosmo del quale fa parte.
Da qui un senso di solitudine profondo. La folla anonima in cui l’uomo moderno è immerso, rende difficile ritrovare qualunque momento di condivisione di valori ancestrali, significativi e profondi. Nel tentativo di sentirsi meno soli, ci si affida freneticamente alle soluzioni virtuali di collegamento (televisione, social network, messaggi istantanei, etc.) nell’illusione di poter comunque essere parte di qualcosa e nella vana speranza di poter – seppure per un momento – distogliere lo sguardo da un nulla che spaventa.
Questo fenomeno è ancor più evidente e preoccupante nelle generazioni più giovani, le quali si identificano spontaneamente con lo stesso strumento tecnologico di connessione e attraverso il quale percorrono solo rapporti superficiali, basati su un numero di contatti anonimi. Nel tentativo di comunicare la propria esistenza, vengono trasmessi milioni di “selfie” catturati in luoghi o eventi a cui – in mancanza d’altro – si cerca disperatamente di assegnare un significato.
In questo stato di delirante alterazione, la ricerca di una creatività si manifesta in ulteriori convulse azioni che ne vanificano il risultato e non riescono a soddisfare l’esigenza primaria.
La capacità creativa, come abbiamo detto, è inerente alla natura umana. Tuttavia, in quest’epoca di crescente riduzionismo scientifico e nichilismo incalzante, essa appare relegata in uno spazio profondo sommersa da innumerevoli strati.
L’uomo sente, se pure indistintamente, il bisogno di ritrovare se stesso in un rinnovato rapporto con la natura, di salvare momenti di intimo silenzio dai ritmi frenetici della vita odierna. Potrà allora riconoscere di essere grande proprio nel rendersi conto della propria piccolezza e fragilità. Perché, come ci hanno ripetuto Blaise Pascal e Giacomo Leopardi, la grandezza dell’uomo consiste nell’avere coscienza della propria finitezza e possedere la capacità di meditare su questo presupposto, a differenza dalle altre infinite creature dell’universo.
Impariamo a trovare un momento in cui staccare tutti i collegamenti virtuali e osservare un orizzonte, un lago, una montagna, un fiume, compensando la sensazione di vuoto con il respiro della vita. Solo allora potremo sentir sorgere in noi una creatività che sia desiderio di partecipare al suo ritmo, di fare la propria parte, portando il proprio contributo di operatività, pensieri, progetti e … sogni.