L’incidente Germanwings: una spia d’allarme
Il recente tragico incidente dell’Airbus-320 della compagnia aerea Germanwings ha dolorosamente riaperto un vaso di Pandora che era stato con circospezione richiuso dopo l’11 settembre 2001. Per anni gli organismi internazionali dell’aviazione civile hanno lavorato con grande impegno nell’ipotizzare ogni qualunque possibilità di avaria tecnica che avesse potuto mettere a rischio un volo passeggeri, fino a dotare i moderni velivoli civili delle più sofisticate attrezzature e software disponibili. La ridondanza delle apparecchiature a bordo e la loro affidabilità garantiscono oggi un’elevatissima sicurezza al volo e gli enti preposti non interrompono mai la loro azione di controllo, studio e verifica su questi temi.
Solo un rischio si affaccia sempre alle cronache più incredibili: l’imponderabilità della mente umana.
Ripercorriamo rapidamente i fatti: Andreas Lubitz, il copilota della Germanwings, da tempo affetto da stati di depressione acuta, in una folle decisione ha approfittato della temporanea assenza del comandante in cabina per chiudere il blocco della porta di accesso e mettere in pratica la sua tragica azione di suicidio/omicidio. A nulla sono valsi i tentativi del comandante di forzare la porta di accesso. Ricordiamo che tale barriera è stata resa obbligatoria su tutti i velivoli civili a partire proprio dall’11 settembre 2001 per impedire che eventuali terroristi possano accedere spontaneamente alla cabina di pilotaggio. In altri termini: l’efficace soluzione di un problema si è rivelata l’impedimento principale per evitare una strage.
Attraverso la tecnica, l’uomo ha creato macchine perfette. Siamo oggi in grado di prevedere e correggere tutti gli errori da parte delle macchine che abbiamo creato (meccaniche, elettroniche, software, ecc.), ma la cosa più difficile – e forse impossibile – da prevedere risiede proprio nei mirabili e tortuosi meccanismi della nostra mente. Non è inoltre da sottovalutare quanto il generale senso di confusione, smarrimento e incertezza che investe ogni piano dell’esistenza, sia dei singoli che delle comunità, nell’attuale ritmo della società moderna sia sempre più responsabile di stati d’animo che tendono all’isolamento e a gravi fenomeni depressivi. Questo è un elemento che per troppo tempo ormai è stato trascurato nei più comuni processi di progettazione/analisi di complesse procedure tecnologiche.
Ma – come sempre avviene in casi analoghi – occorre anche oggi dare una risposta ai parenti delle vittime e a una spaventata opinione pubblica. Nessuna risposta potrà mai lenire il dolore dei primi, i quali non troveranno mai la forza di affrontare la loro perdita se non a seguito di un lungo confronto con se stessi, con i misteri più ampi che avvolgono la nostra esistenza. L’opinione pubblica, di continuo bombardata da resoconti di forte impatto emotivo, potrebbe generare uno stato di panico tale da chiedere immediate garanzie sull’irripetibilità delle cause dell’incidente. Tuttavia in questo caso la causa non è dovuta all’avaria di un motore o di un radar, una facile soluzione per sedare i generali timori imponendo l’obbligatorietà o la ridondanza dello strumento meccanico/elettronico per nascondere gli eventuali errori umani (sempre ripetibili). Qui ci si deve confrontare con una problematica psichica di un uomo.
Nell’ottobre 2001, a seguito del tragico incidente di Linate che costò la vita a 118 persone, fu decretata la causa nell’assenza del radar di terra, evitando di confrontarsi con il concorso di due errori umani. In tal modo, la coscienza dell’opinione pubblica fu tranquillizzata dal completamento dell’installazione dell’equipaggiamento elettronico nel sedime aeroportuale.
Oltre a saper condurre in volo un velivolo, i piloti moderni sono anche dei super-controllori degli equipaggiamenti in loro possesso. Se un impianto mostra segni di avaria, devono poterlo escludere e inserire quello di emergenza; devono poter prendere rapide decisioni che consentano alla tecnologia di attuare le misure di sicurezza prevista e dirigere con perizia la meravigliosa orchestra di strumenti al loro comando. Ma tutto ciò necessita che l’uomo ai comandi disponga di una mente sana, equilibrata e – soprattutto – libera da stress esogeni.
Le attuali normative prevedono perciò che ciascun pilota si sottoponga a una visita medica di controllo una volta l’anno. Questa visita è generalmente molto scrupolosa, eseguita presso gli Istituti di Medicina Legale e tende ad assicurare che tutti i parametri fisici del paziente rientrino in quelli che sono definiti come i limiti necessari per poter svolgere quel difficile mestiere. Se da un lato questa procedura presenta una buona garanzia di successo, dall’altro evidenzia una grande lacuna: è estremamente difficile, se non impossibile, per un esperto della psiche umana determinare in un singolo incontro annuale eventuali pericolose derive della mente del paziente, latenti minacce che si nascondono nei più remoti meandri del suo mondo sommerso.
D’altronde non è altrettanto possibile ipotizzare di sottoporre tutti i piloti del mondo a costanti percorsi di psicoterapia rischiando, per risolvere un singolo problema, di accrescere lo stress in tutta la categoria oltre che a generare difficili e complicate questioni contrattuali.
Occorre perciò modificare il processo di analisi del problema. È questo il momento in cui i più grandi organismi internazionali che controllano e generano procedure e regolamenti per la sicurezza aerea (FAA, EASA, IATA, ICAO, ecc) dovranno iniziare a dotarsi di veri e propri “tavoli transdisciplinari” per affrontare le maggiori problematiche del settore. Gli esperti attorno al tavolo, cioè, non potranno più essere singole personalità di spicco nelle varie discipline che concorrono a fornire il proprio dossier senza nessuna interazione sostanziale con gli altri.
Essi dovranno considerare ciascuna disciplina come rilevante, ma nessuna di esse dovrà avere un ruolo egemonico sulle altre. Dovranno principalmente concentrarsi sulle tipologie delle connessioni non considerate precedentemente, dovranno comunicare fra loro, dovranno attraversare il confine radicato delle proprie discipline attraverso lo scambio di idee e di diverse prospettive di osservazione. Dovranno trovare nuove metafore per la condivisione e la comprensione, fino a giungere alle frontiere di quell’”imponderabilità” dell’essere umano che non può essere affrontata in altro modo se non con gli strumenti stessi dei suoi meccanismi più intrinseci. Per approfondimenti, vedi “Il nuovo approccio scientifico verso la transdisciplinarità” e “Transdisciplinarità: innovare ritrovando l’uomo”.
Ciao
Potrebbe essere utile per un approfondimento:
http://www.newyorker.com/news/john-cassidy/germanwings-flight-9525-technology-and-the-question-of-trust?mbid=nl_033015_Daily&CNDID=26897971&mbid=nl_033015_Daily&CNDID=26897971&spMailingID=7623272&spUserID=NDM2NzY5Nzg2NDIS1&spJobID=642717549&spReportId=NjQyNzE3NTQ5S0
Alessandro