L’apologo del banchetto transdisciplinare
UNO (multi)
Un giorno il cav. Pappacena, un ricco industriale e leader di una grande azienda, decise di offrire un fastoso banchetto ai suoi ospiti. Per garantirsi una perfetta riuscita dell’evento, iniziò a telefonare a tutti i migliori chef del mondo, di tutte le specialità, chiedendo a ciascuno di loro di preparare il miglior piatto, la pietanza in cui eccellevano nelle loro singole professionalità. Voleva stupire gli ospiti, quindi chiese loro di esprimersi al massimo delle loro capacità.
Venne il giorno del banchetto e con grande imbarazzo e disagio, il facoltoso ospite si vide servire a tavola una vasta quantità di prelibatezze allineate sul desco: otto portate di antipasti ma nessun contorno, quattro portate di carne e una sola di pesce, e per finire un’eccessiva e disordinata serie di dolci dalle fattezze più fantasiose. Il risultato fu che la servitù dovette ritirare gli avanzi del pasto che furono più di quanto fu consumato, lasciando gli ospiti insoddisfatti e perplessi.
DUE (inter)
Poche settimane dopo il cav. Pappacena decise di ritentare il suo esperimento, ma stavolta non volle ripetere lo stesso errore: comunicò a ciascuno dei cuochi il numero di telefono degli altri, chiedendo loro di organizzare le portate in modo da ottenere un banchetto completo senza incorrere negli inconvenienti del primo banchetto.
A quel punto gli chef si coordinarono sulla tipologia di pietanza da preparare (antipasti, carne, pesce, contorni, timballi, consommé, dolci) e i camerieri servirono il secondo banchetto. Stavolta gli eccessi e gli avanzi non furono così evidenti, tuttavia il pranzo soffrì comunque di un certo disordine: le pietanze (eccellenti ciascuna nella propria specialità), non erano armonizzate fra loro e così gli ospiti si trovarono in sequenza a vedersi serviti piatti di fettuccine italiane, speziati arrosti arabi con contorni di insalate di aringhe norvegesi, fagioli brasiliani e dolci indonesiani, il tutto innaffiato da uno splendido sakè giapponese.
Il cav. Pappacena era nuovamente deluso dal suo esperimento conviviale.
TRE (trans)
Qualche mese dopo, il Pappacena s’imbatté in un vecchio mendicante che gli chiese qualche spicciolo per mangiare. Nel regalargli un consistente obolo, l’industriale gli augurò che quel denaro potesse rendergli un pasto più felice di quanto lui era riuscito a offrire ai suoi ospiti, e accennò brevemente agli infausti episodi che aveva recentemente vissuto. Il commento del mendicante fu semplice:
«Devono volare oltre i loro limiti. Chiedi ai cuochi di portare la loro esperienza su una tovaglia bianca.»
Non sicuro di aver compreso il consiglio, il cav. Pappacena prese comunque una decisione. Chiamò tutti gli chef chiedendo loro di presentarsi alla sua villa due giorni prima del successivo banchetto, ciascuno con i propri “ferri del mestiere”. Giunti gli specialisti, li portò tutti nella cucina, esigendo che trascorressero il primo giorno a discutere fra loro, prima di iniziare a cucinare. I professionisti si guardarono perplessi e molti di loro si dimostrarono inizialmente reticenti a dialogare con i colleghi, mossi da gelosie reciproche e da antichi pregiudizi. Finalmente, dopo numerose insistenze da parte del cav. Pappacena, il gruppo iniziò a lavorare.
La domenica fu servito il terzo banchetto, nella gioia e tripudio degli ospiti. Ciascun piatto era stato preparato con una ricercatezza esemplare, raccogliendo le migliori esperienze di ciascun cuoco, in un’armonia di sapori e odori unica al mondo. Il pranzo si svolse come una sinfonia di strumenti perfettamente accordati e nessun piatto venne utilizzato parzialmente o semplicemente lasciato come eccedenza.
Nella cucina i cuochi intanto avevano ripreso a discutere fra loro con grande entusiasmo, prendendo appunti e scambiandosi consigli preziosi: avevano acquisito nuove competenze attraverso la loro interazione e seppure ciascuno di essi non avesse eseguito il lavoro nella sua completezza, erano tutti insieme paradossalmente partecipi al risultato finale.
Ma – soprattutto – avevano capito il fondamento dei loro precedenti errori, e cioè come la concentrazione sul singolo piatto nascondesse loro l’armonia dell’intero pranzo.