L’uomo ha paura di sè?
Negli ultimi secoli l’uomo ha messo in atto tutta la sua scienza, la sua curiosità, il suo grande metodo esplorativo per conoscere sempre più la natura delle cose che lo circondano. Ha sviluppato tecnologie raffinatissime, pur di giungere alla conoscenza del mondo esterno e della natura. Ha superato se stesso, nuotando come un pesce sugli oceani e volando come un uccello nei cieli.
In altre parole: l’uomo ha dimostrato il suo orgoglioso coraggio nei confronti della conoscenza di ciò che gli era “esterno“, non riservando – tuttavia – lo stesso coraggio e volontà verso sè stesso, il suo mondo interiore.
Nel suo scritto “Sanare la frattura” del 1961, Carl Gustav Jung dice: “In un’epoca in cui tutte le energie disponibili vengono riversate nell’indagine della natura, si presta pochissima attenzione all’essenza dell’uomo“.
Quindi si può pensare che quello stesso “uomo interiore” che pratica la scienza non ritiene se stesso degno di un’indagine altrettanto approfondita? E così accade che mentre conosciamo tutto della materia sub-atomica e delle fenomenologie fisiche che si susseguono nello spazio, non siamo spesso in grado di sapere cosa accade dentro di noi.
È una conclusione sconcertante e cruda, tuttavia occorre enunciarla: è radicata nell’uomo una profonda avversione a saperne di più su se stesso. Insieme a tutto il progresso esteriore compiuto negli ultimi secoli, non si è verificato un corrispondente sviluppo e miglioramento interiore. Sarà forse la paura di sé?