Da “L’ombra di Pan”
Glauco alzò lo sguardo verso l’avvocato.
«Lei è al corrente del contenuto di questa lettera?» gli chiese.
«Sì. Stefano me l’ha voluta leggere prima di chiudere la busta».
«E cosa ne pensa?».
«Vede, professore» rispose l’avvocato «Stefano non è la persona che lei ricorda. Deve immaginare che trascorrere quasi vent’anni nel carcere può portare l’individuo verso un processo di completa alienazione dal mondo reale. Ivan è sempre stato per lui l’unico filo che fortunatamente lo teneva in qualche modo in contatto con l’esterno. Ha accettato il lavoro per Autostrade per questo unico motivo: mandare dei soldi al ragazzo. Ma non possiamo chiedergli di più. Stefano non è in grado di assumersi l’onere di una paternità a questo punto».
«Di quale onere parla, Dal Prato? L’amore per un figlio è forse un onere?».
«Allo stato dei fatti, sono costretto a risponderle di sì. Per lui, potrebbe essere un insostenibile peso che non sarebbe in grado di gestire emotivamente. Tra l’altro, è proprio certo che Ivan accetterebbe questa realtà?».
«E fino a oggi cosa ha dovuto accettare quel ragazzo? Non ci pensa a questo? Crede che ritrovare un padre, seppur carcerato, possa essere per lui più difficile di quello che finora è già stato costretto a subire?».
Glauco si stava animosamente scaldando nella discussione.
«La prego, professor Sampietro, di considerarmi solo il latore di una comunicazione e non il responsabile del suo contenuto».
«Sì, ha ragione. Mi scusi se mi sono fatto prendere dalla discussione, ma è solo perché ci tengo».
«Questo l’ho capito, non si preoccupi. Ed è proprio perché lei è una persona così affezionata a Ivan che mi permetto di suggerirle di accettare la richiesta di Stefano».
«Senta, io non ho nessun problema a seguire il ragazzo, se lui lo vorrà. Anzi, per me sarà una gioia. Sto solo cercando di farle capire che probabilmente potrebbe essere un bene per il ragazzo stesso ritrovare suo padre».
«Di questo non ne sarei molto certo».
I due rimasero qualche minuto in silenzio, ciascuno di fronte alla propria tazza di tè.
«Professore» disse Dal Prato «Ora devo proprio rientrare verso Roma. C’è qualcosa di particolare che vuole io riferisca a Stefano?».
«Gli dica solo di non preoccuparsi. Ci sono io, qui, che voglio bene a Ivan!».
Rimasto solo, Glauco estrasse il taccuino dalla giacca e sfogliò le pagine fino al disegno di un diagramma con riquadri e linee. Tracciò un segno netto su un segmento che congiungeva la casella “Ivan” alla casella “Stefano”.
Una parte del suo instabile piano era già andata in fumo.
tratto da “L’ombra di Pan“